n. 2/2013

Frank Tros La flexicurity in Europa: può sopravvivere a una doppia crisi?


La domanda centrale in questo articolo è se la flexicurity, quale linea guida per la modernizzazione del diritto del lavoro, delle politiche occupazionali e delle misure di welfare nei paesi europei, possa sopravvivere alla doppia crisi economica e concettuale. Il concetto di flexicurity ha le sue radici nella ridefinizione dell’idea che gli investimenti nelle politiche sociali costituiscano un fattore economico della produzione. La crisi economico-finanziaria globale ha messo in discussione questo assunto. I bilanci pubblici per le politiche attive del mercato del lavoro, l’istruzione per giovani e anziani, gli standard di protezione del reddito sono diventati a rischio, come pure gli investimenti privati in pratiche sostenibili di gestione delle risorse umane, i fondi delle imprese e i fondi collettivi per la formazione. L’altra crisi a cui l’A. fa riferimento è che il concetto stesso di flexicurity è in crisi. Sempre più accademici, politici e organizzazioni sindacali stanno formulando critiche sostanziali sulla mancanza di teoria che sottende al concetto di flexicurity, sulla natura indefinita del concetto stesso, sulla mancanza di un punto di vista condiviso tra le parti sociali e sull’evidenza che il concetto si è sviluppato in modo sbilanciato verso la flessibilità, con minori garanzie per la sicurezza dei lavoratori. La combinazione della crisi economica e concettuale rafforza il rischio di ulteriore erosione dell’elemento sicurezza nelle politiche e pratiche della flexicurity. La domanda cruciale è se esista una vera alternativa alla flexicurity. Concetti alternativi, basati su una sola dimensione, probabilmente non possono raggiungere un approccio integrato e sostenibile che porti sui tavoli di negoziazione gli interessi sia datoriali che dei lavoratori. Per poter dare una risposta a questa domanda, l’A. valuta criticamente alcune politiche di risposta alla crisi economico-finanziaria in Stati membri dell’Unione europea che riflettono un approccio di flexicurity: Svezia, Belgio, Germania, Olanda e Regno Unito.


Frank Tros Flexicurity in Europe: can it survive a double crisis?

The central question in this article is if the flexicurity – as a guideline for modernizing labour law, employment policies and welfare provisions in the European countries – can survive the economic and conceptual double crisis. The concept of flexicurity is rooted in the re-assessment of the idea that investments in social policy constitute an economic production factor. The global financial-economic crisis has put clear pressure on this condition. The public budgets on active labour market policies, education for young and old, and standards in income security have become in danger. Furthermore, the private investments in sustainable HRM-practices and education funds by companies and collective funds are easily victims of cost cutting.
The other crisis that is mentioned in the title of this article, refers to the fact that the concept of flexicurity “in itself” is in crisis. More and more academics, politicians and trade unions are formulating fundamental critics on the lack of theory underlying the concept, on its limits regards to a joint view among social partners and on the evidence that the concept is implemented in an unbalanced way towards flexibility with less guarantees on security for workers. The combination of the economic and conceptual crises re-inforces the risks of further erosion of the security element in flexicurity policies and practices. The crucial question nowadays is whether a real alternative to flexicurity exists. Alternative concepts, merely focusing on one dimension, can probably not achieve an integrated and sustainable approach that put both interests of employers and workers towards the negotiation tables. In order to give an answer to this central question, this ar-ticle evaluates critically some new or intensified policies as response to the financial/economic crisis in the EU member states that reflect a flexicurity approach: Sweden, Belgium, Germany, The Netherlands and the UK.

indice »