Dal confronto tra la Legge n. 11-2011 (articolo 17 che annunciava l'introduzione del copay dal 2014) e il Patto della Salute emergono tre considerazioni:
Il Patto dovrebbe muoversi nel solco tracciato della Legge e puntare a costruire uno schema di compartecipazione omogeneo su tutto il territorio nazionale, a garanzia che la selettività risponda dappertutto, in ogni area del Paese, agli stessi principi equitativi. Non ci si può permettere, soprattutto in questo momento, frammentazioni, incoerenze o addirittura dissidi e contenziosi tra Stato e Regioni. In questo senso va recuperata appieno l’indicazione della Legge di una applicazione sistematica del copay su scala nazionale.
Il contenuto della 11-2011 andrebbe rispettato anche in un altro passaggio: non compariva allora la parità di gettito tra le nuove e le vecchie compartecipazioni. Questa parità, applicata Regione per Regione, può essere un vincolo distorsivo nel disegno dello schema di compartecipazione nazionale, a cui andrebbe chiesto di rispettare i principi di equità orizzontale e verticale tra cittadini nazionali, indipendentemente dai confini geografici. Se i Lea devono esser assicurati in maniera il più possibile omogena sul territorio nazionale, e se il copay è parte della definizione e del contenuto dei Lea, allora la selettività deve trovare applicazione su tutti i cittadini nazionali, creando un ordinamento unico che cozza con vincoli sull’andamento storico dei gettiti regionali, tra l’altro derivanti da un assetto regolatorio sinora mai sistematizzato. Il comma 2 dell’articolo 8 contiene una contraddizione: va garantita l’unitarietà del sistema, ma contemporaneamente l’invarianza di gettito e lo status quo regionale. Se si fa questo passo, lo si deve con più coraggio.
C’è, infine, una terza conclusione. Il Patto completa in maniera operativa la Legge n. 11-2011 nella parte che riguarda le grandezze da prendere a riferimento per graduare il copay. La scelta è di pieno buon senso. In attesa di avere banche dati affidabili su un numero maggiore di grandezze economico-patrimoniali, la compartecipazione può essere definita in base al reddito (l’ultima o una media delle due-tre ultime dichiarazioni presentate) e alla composizione del nucleo familiare. In attesa di disporre di una soluzione ottimale, è insano rinunciare a qualunque tipo di soluzione anche di second o third best. Tra l’altro, se l’obiettivo è quello di sostenere l’accesso alle cure Ssn per le fasce meno abbienti subito, nell’immediato di questa stagione di crisi e di incertezze sulle risorse, allora il riferimento ai redditi disponibili e al nucleo familiare bastano a suddividere i cittadini nelle macrocategorie più rilevanti. Il punto essenziale è dare risalto alle fasce più bisognose da esentare totalmente o alle quali richiedere copay contenuti. Se per adesso non si riesce a creare un ordinamento dettagliato e completo per le fasce più elevate, per qualche anno, ad esempio sull’orizzonte del Patto per la Salute o sino a quando non si vedranno segnali concreti di ripresa del Pil, l’errore può essere accettato ed esser visto come una scelta politica di gestione del welfare system durante la crisi.
Sulla scorta di queste considerazioni, i suggerimenti che si lanciano al gruppo di lavoro incaricato di definire le nuove compartecipazioni sono:
(1) un unico schema nazionale,
(2) non vincolato alla parità di gettito col sistema vigente,
(3) capace di graduare il copay tenendo conto dei redditi disponibili e della composizione del nucleo familiare,
(4) dove i redditi disponibili sono quelli ricavabili dall’ultima o da una media delle ultime dichiarazioni dei redditi,
(5) dove la composizione del nucleo familiare dà evidenza della presenza di casi di cronicità.
Si deve cercare una formulazione trasparente ed efficace, che possa essere attivata subito e che, in attesa di miglioramenti, possa anche svolgere una funzione di sensibilizzazione e di “educazione” dei cittadini e dell’opinione pubblica su uno strumento - il copay o il ticketche dir si voglia – spesso frainteso nelle sue caratteristiche tecniche e nelle sue finalità politiche.
Insomma, con Churchill, “è sbagliato non far niente con la scusa che non si può far tutto".