vol. I - n. 5 maggio-giugno 2018
n. 5/2017
Francesco Seghezzi I fattori e le competenze abilitanti per l’Impresa 4.0, verso una visione olistica
Questo numero di Professionalità Studi raccoglie una selezione dei contributi presentati al Convegno Internazionale I fattori e le competenze abilitanti per l’Impresa 4.0 promosso da ADAPT e Università di Bergamo gli scorsi 1-2 dicembre 2017 a Bergamo. Esso si pone anche in continuità con il primo numero della rivista, pubblicato a ottobre 2017, che porta lo stesso titolo, e che aveva proprio l’obiettivo di anticipare i temi centrali del Convegno.
Come nel primo numero, continua grazie ai contributi qui raccolti la riflessione sulle determinanti e le conseguenze degli importanti processi di trasformazione che sono riassunti sotto l’etichetta Industry 4.0, qui affrontati approfondendo aspetti legati alle dinamiche organizzative interne ed esterne alle imprese e alle competenze necessarie nel nuovo paradigma produttivo, ma anche alla dimensione territoriale e di “sistema” e alla nascita di nuovi profili professionali.
Il tema della digitalizzazione dei processi produttivi non si pone solo in rapporto con il fabbisogno tecnico delle imprese e la loro evoluzione in termini di macchinari e tecnologie abilitanti, e questo è ormai riconosciuto da diversi osservatori e studi ([1]). Spesso, però, quando si individuano ulteriori elementi quali la formazione del capitale umano, declinata in termini di competenze e percorsi formativi, o l’organizzazione del lavoro, o le nuove relazioni industriali, si sviluppano analisi con un orientamento verticale che difficilmente riescono a dialogare tra loro. La complessità dei cambiamenti in atto invece sembra richiedere un approccio interdisciplinare e trasversale che sappia rendere complementari i diversi livelli epistemologici con l’obiettivo di una comprensione il più possibile olistica del fenomeno. Con questo non si intende interpretare uno zeitgeist la cui morfologia non è oggi facilmente intellegibile, ma tentare di leggere nessi causali tra ambienti economici, culturali, politici e sociali e istituzioni, in particolare le imprese. Tale intento è ciò che ha guidato la sistematizzazione dei contenuti di questo numero per il quale si vuole qui proporre una chiave di lettura. Ed essa si fonda sulla convinzione che le global value chain che guidano oggi i processi economici internazionali rendano i territori dimensioni geografiche centrali nei processi di costruzione del valore ([2]). Questo in primo luogo per l’abbattimento delle barriere fisiche reso possibile dai processi di digitalizzazione che, in particolare grazie all’Internet of Things e ai big data, consentono un coordinamento all’interno di supply chain dislocate globalmente. Da ciò deriva quindi che la concentrazione territoriale di innovazione, competenze ed infrastrutture è un prerequisito fondamentale affinché vi sia la possibilità di accedere a queste catene, tanto che il posizionamento all’interno di esse sarà tanto più alto quanto più l’ecosistema sarà coordinato ed in grado di innescare dinamiche ad alto potenziale di creazione di valore. Letta in questi termini la digitalizzazione è un tassello di un sistema territoriale più ampio che comprendere un insieme complesso di attori e strutture. Si comprende quindi la volontà di inquadrare all’interno di questa lettura i singoli fattori e competenze abilitanti di cui si tratta in questo numero di Professionalità Studi. Laddove le competenze non sono unicamente da intendersi dal punto di vista del potenziale del capitale umano ma anche e soprattutto come requisiti posseduti dai territori dal punto di vista istituzionale, infrastrutturale, socio-economico, oltre che ovviamente da quello delle persone in essi occupate e/o occupabili. Il tutto all’interno di una visione dell’impresa che la vede sempre più sposare la logica di un open innovation ([3]) in virtù della quale i confini fisici e conoscitivi acquistano una maggiore permeabilità rispetto agli ambienti esterni. I contributi presenti in questo numero vogliono quindi offrire prospettive specifiche, anche in chiave comparata, sui diversi elementi che concorrono allo sviluppo di tali ecosistemi innovativi, con particolare attenzione al tema delle competenze e dello sviluppo del capitale umano, ma all’interno di una visione più ampia che renda ragione della complessità dei nuovi paradigmi produttivi.
Il contributo di Iadevaia, Resce, Tagliaferro inquadra le trasformazioni del lavoro connesse a Industry 4.0 nella prospettiva degli “ecosistemi territoriali”, partendo dall’analisi di specifici sistemi produttivi locali. Nella stessa prospettiva sistemica è inquadrabile il contributo di Alketa Aliaj, che studiando il caso dei Digital Innovation Hub e dei Competence Center in Lombardia, affronta il tema del configurarsi di una nuova “geografia del lavoro” intorno ai processi di produzione e trasferimento dell’innovazione e della conoscenza, utilizzando la strumentazione metodologica della geografia economica. Contribuiscono a delineare una visione di sistema le recensioni ospitate dal volume, entrambe relative all’importante volume a cura di Cipriani, Gramolati, Mari (Il lavoro 4.0. La Quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative): Angeletti, Berlese e Gugliotta si cimentano nell’arduo compito di recensire il corposo volume, che contiene numerosi contributi di diversa provenienza disciplinare che affrontano il tema delle trasformazioni del lavoro sotto molteplici aspetti, cercando tuttavia di dare una visione di insieme del fenomeno proprio grazie all’accostamento di diverse prospettive di indagine; la recensione di D’Addio si concentra, invece, in particolare sul contributo di Pietro Causarano, contenuto nello stesso volume, che tocca un tema centrale per questa rivista, e cioè il concetto stesso di professionalità e la sua evoluzione.
Un altro blocco di contributi affronta, invece, il tema della formazione delle competenze strategiche nel contesto di Industry 4.0: così Giuditta Alessandrini affronta il tema dello sviluppo del pensiero critico e di altre competenze cruciali nei giovani, interrogandosi in particolare sul ruolo della formazione universitaria. Yves Blanchet e Aneta Tyc ci aiutano ad estendere la riflessione sul piano internazionale e comparato: la prima analizzando l’impatto sull’efficacia degli interventi di formazione continua di specifiche soluzioni istituzionali adottate in Canada, basate sul coordinamento pubblico degli attori sociali; la seconda ricostruendo il dibattito internazionale sulle nuove professioni e le nuove competenze richieste dal paradigma di Industry 4.0.
Fantoni, Fareri, Pira e Guadagni presentano una ricerca che indaga, con un approccio data-driven, gli archetipi professionali di Industria 4.0; Bozzoni, Venturi, Zandonai, Piangerelli e Caroli presentano una ricerca che ha riguardato un altro tema centrale nell’ottica delle trasformazioni ascrivibili, più in generale, alla società della conoscenza, e cioè quello dello sviluppo di modelli organizzativi distribuiti e distributivi, analizzando il caso delle piattaforme sviluppate nell’ambito del movimento cooperativo.
Fa da sfondo a tali riflessioni il contributo di Andrea Potestio, che contribuisce al dibattito sulle trasformazioni del lavoro riprendendo categorie centrali della riflessione pedagogica al fine di sottolineare e valorizzare la compresenza e l’integrazione, anche nei nuovi paradigmi produttivi, delle due polarità che da sempre costituiscono l’idea di lavoro: quella dello sforzo e della fatica, da un lato, e quella della creatività e della capacità di far nascere qualcosa di nuovo, dall’altro.
[1]Si permetta di richiamare, oltre ai contributi già apparsi nel n. 1 di Professionalità Studi, 2018 anche F. Seghezzi, La nuova grande trasformazione. Persona e lavoro nella quarta rivoluzione industriale, ADAPT University Press, 2017 e, nell’ambito dei documenti istituzionali sul tema, il recente Libro Bianco Il futuro del lavoro pubblicato da ADAPT e Assolombarda nel maggio 2018 che si concentra sugli impatti socio-economici dei processi di digitalizzazione.